La storia di Jennifer

JENNIFER
 
    Ha appena 17 anni Jennifer, quando viene portata in braccio al centro Luis Amigo di Morogoro, chiedendo alle suore che lo gestiscono molto più che una terapia di riabilitazione motoria, nella speranza di poter nuovamente camminare : chiede di essere accolta come in una famiglia, perché la sua l’ha definitivamente rifiutata ed abbandonata, dopo ciò che è successo. Anche l’amica che l’ha portata al centro dovrà lasciarla, non può prendersi cura di lei. A volte,nonostante i buoni sentimenti e lo spirito di carità, la miseria e la durezza della vita impediscono di aiutare il prossimo come si vorrebbe…avrà pianto la donna, nel lasciare la sua amica su una stuoia alle porte della missione delle suore Cappuccine terziarie. Ma forse avrà avuto conforto nel vedere che quella porta si è aperta e Jennifer è stata amorevolmente accolta. E’ entrata strisciando per terra letteralmente, per via della paralisi che ha colpito il suo corpo, strappandola alla morte per setticemia,ma riducendola alla condizione di verme, rifiutato dalla famiglia,dalla comunità, dal mondo, e considerato un peso morto di cui liberarsi.
Una storia,quella di Jennifer, tristemente comune a tante ragazze,in Tanzania, ma con un lieto fine che purtroppo non è così frequente.
Nella cultura africana, il valore ed il ruolo della donna sono legati in primo luogo alla sua maternità, pertanto da molto giovani si comincia a fare figli. Dare alla luce un essere umano, diventare madre, è più importante del dare ufficialità al proprio stato coniugale. Meglio una ragazza madre, che una sposata senza figli. Nelle realtà rurali,nei villaggi più isolati,dove più forte è radicato lo spirito tradizionale ed animista, non ancora contaminato della modernità  libertina che prende piede invece nella capitale, questo costume porta le ragazze,giovanissime, a lasciare gli studi, e cercare lo sposo o semplicemente un uomo che le renda madri, quindi veramente donne.
 Jennifer, pur essendo figlia di un colto insegnante, era scappata con il suo uomo, convinta forse di aver trovato anche un valore in più…ne era innamorata, e sognava una vita di famiglia felice, nonostante l’opposizione paterna,che l’aveva costretta a lasciare la sua casa, ancora incinta.  Le difficoltà della sopravvivenza, dato che l’amore nutre il cuore e lo spirito, ma da solo non chiude i morsi della fame, avevano spinto la giovane coppia in un villaggio disperso nella savana,dove cercavano sostentamento nel povero lavoro dei campi.
Al momento del parto, Jennifer viene condotta in un dispensario rurale, dove l’inadeguatezza della levatrice, l’impropria pulizia dell’ambiente e la probabile difficoltà della manovra, causano la morte del bambino ed una gravissima infezione alla madre, che evolve in setticemia. Jennifer non sa quanti giorni abbia trascorso da sola, su una branda arrugginita di questo centro. Sa però che non ha mai visto né tenuto tra le braccia la sua creatura, che non ha più avuto notizia del suo amato compagno, e soprattutto,che,una volta ripresa coscienza non ha più potuto usare le gambe né le braccia. Paralisi totale. Un corpo morto, e,date le circostanze anche un’anima morta, insieme alle speranze che aveva nutrito per il suo futuro.  E’ stato grazie ad una sua amica che la ragazza ha potuto essere portata fuori dal dispensario, e per un’imprevedibile aiuto, condotta al centro di Morogoro.
Sono passati 7 anni da quel momento. La Jennifer che ho conosciuto , sorridente e piena di orgoglio, mi ha fatto entrare nella sua casa  in muratura, costruita grazie all’aiuto dei Lions di Caltanissetta , non lontana dal centro Luis Amigo.  Quel sorriso, quella casa,quel suo camminare con l’aiuto di una stampella,ma diritta e fiera, raccontano la sua storia nella fase della rinascita, dopo la tragedia. Un percorso lungo e faticoso, che la giovane donna  ha affrontato con l’aiuto delle suore, per recuperare non solo la motricità degli arti e l’autonomia della postura, ma soprattutto il valore di sé,della propria dignità, ed una capacità di indipendenza grazie al lavoro di cucito ,appreso al centro, e  che ora le consente di fare nuovi progetti di vita .  Due anni dopo la mia ultima visita a Morogoro, ho saputo che Jenny si è sposata ed ha avuto una bimba : un fiore nel deserto, che non è il solo, tra tanti silenziosi miracoli che avvengono e che danno gioia, anche a chi,come noi li vive solo da lontano o li conosce quasi per caso….
 
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 Le suore cappuccine terziarie della Sagrada Familia sono presenti da 20 anni in Tanzania, ed attualmente gestiscono il Centro di Riabilitazione psico-motoria Luis Amigo, a Morogoro, la scuola primaria nel villaggio di Kigamboni, Dar es Salaam, e la scuola secondaria di Msolwa.
Il loro carisma, di natura francescana , è di dedicarsi all’aiuto dei più deboli, dei più poveri tra i poveri. L’attività che svolgono per i disabili, a Morogoro, ne è l’espressione più autentica. Questo centro accoglie bambini ed adulti con varie forme di disabilità, e si vale della presenza di 2 fisioterapisti locali, e di personale ausiliario,sotto la direzione di sr.Lucina Escudero.  E’ presente un laboratorio ortopedico, dove un tecnico locale costruisce scarpe ortopediche,tutori,gessi e diversi altri dispositivi necessari ai trattamenti riabilitativi. Centri di questo tipo sono veramente pochi in tutta la Tanzania, specialmente in rapporto dall’estrema diffusione di patologie ortopediche di varia origine. Basti pensare che i traumi da parto, gli incidenti sul lavoro o accidentali, sono frequenti e il grado di intervento e risoluzione di problemi è spesso inadeguato, specie nelle zone rurali e decentrate. Una problematica che potrebbe essere risolta chirurgicamente, con una guarigione ad integrum, spesso esita invece in uno stato invalidante ed irreversibile.
Le suore accolgono al centro persone che vengono da villaggi lontani, preoccupandosi a volte anche di trovare un alloggio, specie per le mamme, che consenta loro di seguire i propri bambini per terapie che a volte sono necessariamente molto lunghe.
La maggior parte dei pazienti non riesce a sostenere il costo delle terapie, che si rivelano vitali in molti casi, nella misura in cui riescono a dare autonomia di movimento, e quindi di sopravvivenza ad una persona che ,per la sua invalidità, viene considerata un peso morto per la propria stessa famiglia,  e non di rado abbandonata….
Non si può pensare, in casi come questo, ad una sostenibilità autonoma e continuativa…per tale ragione, si è attivato un canale di aiuto attraverso la nostra associazione, che sostiene lo stipendio di un fisioterapista, e propone una forma di “adozione del servizio” per casi specifici, o come aiuto generico al centro.
Bastano ,ad esempio, €200 all’anno, per coprire le spese di terapia di un bambino disabile, perché impari a camminare da solo.
Le suore svolgono inoltre una vera e propria accoglienza per ragazze disabili,alle quali offrono un periodo residenziale presso la propria missione, di 3 anni, nel corso dei quali oltre a svolgere la riabilitazione neuro-motoria necessaria, svolgono loro un corso di cucito, dotandole,al termine, di una macchina da cucire. In tal modo, una ragazza che rischiava di essere emarginata come essere d’intralcio dalla propria comunità, acquisisce una capacità produttiva e redditizia che la rende,al contrario, punto di forza per i suoi familiari. Molte di loro si sposano, hanno figli, e grazie ad aiuti italiani, è stato possibile costruire della case in muratura, nei dintorni del centro, per consentire loro di seguire ancora le terapie.
Il lavoro meraviglioso di recupero della persona, che viene svolto dalle suore di Morogoro, porta i frutti che chiunque può constatare grazie a 1 ingrediente fondamentale, che sta alla base della vocazione missionaria : l’AMORE. Il suo profumo pervade l’aria che si respira al Centro, e l’anima di chi vi si reca a visitarlo, nella festosa accoglienza delle suore. Ed è contagioso, a tal punto che ,tornati in Italia non si può restare inermi ed indifferenti, ma si sente il bisogno di tendere una mano ,per dare un proprio contributo a tutto questo.
PROVARE PER CREDERE !!!   ed aiutare, con quanto si può, significa diventare protagonisti di un meraviglioso progetto d’amore.